È stato appena pubblicato un libro importante, interessante e necessario: Asemics. Senso senza significato. Note sulla scrittura asemica 2006-2023 di Marco Giovenale per i tipi di IkonaLíber.
Finalmente.
Scrivo così perché, accanto all’instancabile attività in rete da parte di Giovenale sul tema delle scritture asemiche, viene a collocarsi un libro a stampa (e, per chi lo preferisse, in splendida versione epub) capace di essere un punto di riferimento sul tema.
In 69 pagine di elegante formato e fattura Marco Giovenale conduce, con coerente consapevolezza di non potere (e non volere) esaurire l’argomento, attraverso la storia e le realizzazioni dell’asemic writing: «[…] potrà essere utile […] partire dalla fine, dalla “coda”, per poi riarretrare rapidamente di circa cento anni» premette l’autore (p. 6).
Provando a fornire una definizione (non conclusiva né tantomeno dogmatica) di scrittura asemica – la quale fa perno su di un concetto espresso da Giovenale stesso in un suo articolo pubblicato nella rivista L’immaginazione di Piero Manni nel 2013 e cioè che si è davanti a «scritture senza significato sul fronte verbale, ma ricche di senso, in generale» (p. 8) – ecco che emergono i nomi di Cy Twombly, di Roland Barthes, di Jim Leftwich, di John Byrum, di Tim Gaze, di Michael Jacobson per raccontare il sorgere e il diffondersi (planetario) del fenomeno: Asemics è, infatti, contemporaneamente saggio e racconto, rigoroso studio e appassionata partecipazione all’universo delle scritture asemiche.
A ragione Marco Giovenale sottolinea (p. 11) la decisività dell’aspetto grafico e disegnato delle scritture asemiche, fattore che rompe definitivamente con qualunque forma di decifrabilità o leggibilità secondo codici diciamo così ufficiali e condivisi.
E il percorso che conduce all’oggi delle scritture asemiche può iniziare con il piccolo “liber mutus” intitolato Contemplazioni di Arturo Martini stampato a Faenza nel 1918, proseguire per Alphabet e per Narration di André Michaux, per la cosiddetta scrittura astratta che talvolta compare nelle opere di Paul Klee: alle spalle delle scritture asemiche degli ultimi decenni c’è una storia lunga e complessa debitrice delle Scritture illegibili di popoli sconosciuti di Bruno Munari, del movimento lettrista di Isidore Isou, dell’attività artistica e delle riflessioni teoriche di Raimond Hains e di Christian Dotremont, di André Masson… È appassionante ed emozionante seguire il racconto di Giovenale (sempre suffragato da precisi riferimenti bibliografici, sitografici e critici), anche perché i decenni del Novecento che portano alle scritture asemiche attuali sono già densi e vivi dell’attenzione all’aspetto corporeo ed evocativo del segno svincolato dal significato, ma anche a quello di contestazione, negazione, rovesciamento dei codici ufficiali perchè «la scrittura non si può ridurre a una pura funzione di comunicazione» (Barthes a proposito di Masson citato a p. 20) e perché la preistoria delle scritture asemiche già s’intreccia con le arti figurative e con i loro fronti di più avanzata sperimentazione.
I grafismi di Brion Gysin, l’arte cinetica, la poesia concreta e visiva, l’arte concettuale, le opere di Giuseppe Capogrossi e di Carla Accardi e quelle di innumerevoli altre personalità, soprattutto a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, accelerano e arricchiscono un fenomeno dalle innumerevoli e significative implicazioni. Ovviamente non mancherò qui di ricordare l’arte di Irma Blank, cui Giovenale dedica le belle pagine 28 e 29 del suo libro.
Mirtha Dermisache, Giulio Paolini, Ana Hatherly, Park Seo-Bo, Hanne Darboven, il Codex Seraphinianus di Luigi Serafini e poi Vincenzo Accame, Emilio Villa, Magdalo Mussio sono altre personalitài di determinante significato che conducono il lettore a un paio di pagine (la 32 e la 33) letteralmente ricoperte di nomi di artisti di ogni parte del mondo, per cui Asemics si rivela essere anche un agile repertorio che dischiude al lettore interessato un orizzonte vastissimo di opere e di proposte.
La parte finale intitolata «Addenda, inclusioni (senza conclusioni)» (pp. 35-38) in perfetta sintonia con l’intero libro traccia rotte che s’incrociano e si sovrappongono, ricchissime di suggestioni e di intuizioni, affonda il proprio sguardo fino nell’arte antica, perlustra la nostra contemporaneità fino a rintracciare (genialmente e coerentemente) nel modo di fare teatro di Carmelo Bene una possibile ”poetica” delle scritture asemiche contemporanee: «avvicinare il significante, farne un gigante, un mostro di presenza, diminuire il significato fino all’impercettibile» (p. 38).
La seconda parte del libro offre bellissimi esempi di scrittura asemica (EXEMPLA) donando al volume il suo necessario versante visivo; Asemics, infatti, articolandosi nelle sue due parti si conferma ottimo punto di riferimento che, ricapitolando la vicenda già così ricca e articolata delle scritture asemiche, rimane aperto sui sicuramente fecondi sviluppi imminenti e futuri.
Una replica a “Leggendo “Asemics” di Marco Giovenale”
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